L’intervento di Pier Ferdinando Casini

Singole posizioni, obiettivi comuni

Intervento di Pier Ferdinando Casini al 46° Congresso Pri.

Grazie all’amico Nucara, grazie a voi dell’accoglienza. Anche per cortesia nei confronti vostri, dei vostri delegati, non farò un intervento molto lungo. Anzi, lo farò breve. Un intervento di saluto perché siete stati così gentili ad invitare me, come Francesco Rutelli, come altri amici che sono qui oggi con voi. Voglio parlare del primo dovere che ha un amico vero, e mi fa piacere che Nucara abbia ricordato un episodio che fa parte della storia della nostra Repubblica. E devo dire che io provo un certo orgoglio nel pensare che le vostre bandiere hanno una storia - come la mia bandiera - e quello che ci accomuna, che accomuna me e voi, è che noi non abbiamo abdicato alle nostre bandiere, siamo sempre orgogliosi di poterle sollevare. Anche perché, contrariamente a tante bandiere altrui, le nostre, storicamente, hanno avuto ragione. Cosa che la storia a volte omette di dire. Ma noi non c’è lo possiamo dimenticare. Bene: un amico vero, cosa deve fare con amici veri? Non cambiare il discorso, perché, purtroppo, una delle questioni che oggi abbiamo, una delle grandi questioni democratiche vere, è che ci sono uomini politici che - a seconda dei posti in cui vanno a parlare - cambiano il discorso che fanno.

Io tengo sempre lo stesso discorso e, naturalmente, tenendo sempre lo stesso discorso, ed esprimendo le mie opinioni, so bene che alcune idee sono condivise. Con Luciana Sbarbati tante volte ne parliamo, e penso che ci sia una condivisione forte. Altre volte, con Nucara, alla Camera, ci fermiamo a parlare e a discutere: tra amici è bello discutere e parlare anche se si è in disaccordo. Guai a disperdere questa voglia di confrontarsi che è tipica non della prima Repubblica ma della politica con la "p" maiuscola.

Oggi purtroppo si assiste ad un degrado, causa anche il meccanismo di selezione della classe dirigente, meccanismo che va cambiato. Meccanismo che ha umiliato la politica. Il punto oggi è proprio qui: perché il Parlamento perde di ruolo? Perché la politica perde di dignità? Perché gli uomini politici non debbono più rispondere alla gente, rispondono a chi li ha messi in lista. Prima ho sentito l’amico Ugolini, che non sentivo da tanto tempo: io ricordo lui scorrazzare in Romagna e così io, nella mia circoscrizione. Bologna, Ravenna, Ferrara, Forlì, Rimini; con l’amico Gualtieri, con tanti altri dell’esperienza repubblicana che io ho conosciuto. E anche con De Carolis e con altri amici. Noi eravamo conosciuti dalla gente. Se entravo nei paesi, a Brisighella come a Cesenatico, sapevano chi eravamo. Oggi girano i deputati e la gente non li conosce. Quei deputati non sono lì grazie al voto del popolo, sono lì grazie alla compiacenza dei leader politici. Oggi la riforma istituzionale primaria da fare è restituire alla gente una cosa semplice: la possibilità di scegliere i propri dirigenti. E’ una cosa, visti i tempi, quasi rivoluzionaria, però devo dire che sarebbe un contributo importante.

Dicevo, dunque, del confronto: il nocciolo della questione è il seguente. Questa è la ragione per cui noi stiamo lavorando - giustamente - non per un terzo polo ma per una aggregazione che prenda assieme persone che hanno fatto tragitti diversi. Rutelli è un fondatore del Partito Democratico, Fini è stato co-ofondatore del PDL, La Malfa ha condiviso l’esperienza con voi. E probabilmente, oltre che condividerla in termini ideali, è come siete voi. Cosa stiamo cercando di fare noi? Stiamo cercando di fare non un polo di serie "b" rispetto ai due esistenti. Stiamo cercando di contestare un bipolarismo che secondo noi ha proposto agli italiani delle finte soluzioni rispetto alle grandi questioni politiche che l’Italia ha davanti. Questa area non nasce per dividere, non nasce per arruolarsi. Nasce, se mi consentite, per l’esigenza di riconciliare l’Italia, esigenza che noi oggi avvertiamo esistere nel Paese. Questa è un Italia che non riesce più a ritrovarsi nemmeno nelle celebrazioni per il 150° dell’Unita. E’ un Italia in cui abbiamo i sindacati corporativi degli uni contro gli altri, i sindacati territoriale di una parte del nord contro il sud, il sud contro il nord. E il fatto che si debba ricorrere al sindacato di nuovi partiti territoriali per difendersi dalla Lega, è già di per sé la dimostrazione della sconfitta della politica. Abbiano un’Italia di destra contro la sinistra, di magistrati contro i politici. Siamo sempre gli uni contro gli altri. Questo è un paese che non può andare avanti così. Questo è un paese che non possiamo continuare a dividere. Questo è un paese che stiamo lacerando giorno dopo giorno.

Allora, se un nuovo polo nasce, non può nascere per fare le cose vecchie. Non può nascere per ripercorrere le cose e le strade che già sono state battute. Queste strade si sono dimostrate fallimentari. Prodi ha fatto una bella armata: ha vinto e non ha governato. Berlusconi ha vinto, ha vinto tanto. Se sta governando o meno, per un dovere di ospitalità nei confronti di Berlusconi che è venuto stamattina, non lo dirrò io. Guardate voi: se per voi sta governando…. Io ho un’idea ben diversa della situazione. Qui c’è bisogno che le persone che la pensano come noi, caro Nucara -perché noi siamo esattamente nel 99 per cento delle situazioni d’accordo - si mettano assieme per cercare di dare a questo Paese una prospettiva. Se voi mi dite: un polo nuovo non può prendere la maggioranza. C’è questo meccanismo elettorale. Ma io penso che un nuovo polo debba fare una nuova proposta. Qui c’è bisogno di un governo di responsabilità che vada oltre le appartenenze polari del passato. Ugolini prima ha ricordato una cosa su cui - lui dice - che io sono giunto in seguito sulla sua idea, ma io sono sempre stato di questa idea. Il nucleare. Quando Berlusconi è andato in campagne elettorale e ha detto che era per il nucleare, io ho detto: sono per il nucleare. E quando Scajola ha portato in Parlamento il piano per il nucleare, noi abbiamo detto: vai avanti, siamo per il nucleare. Dopo vent’anni da un referendum scellerato che ci ha sbattuto fuori dal nucleare, noi oggi, se vogliamo riprendere la strada del nucleare, dobbiamo - in termini di investimenti - scalare l’Everest. Perché siamo usciti dalla ricerca, perché abbiamo bisogno di individuare i siti e di fare le centrali. Ma davanti a quello che deve essere uno sforzo nazionale e che comporta la spesa di miliardi e miliardi di euro, noi possiamo come maggioranza pro-tempore pensare che qualcuno si possa imbarcare in questa avventura senza avere una sostanziale condivisione di chi oggi pro-tempore è all’opposizione e magari domani può proporsi di andare al governo? Non si può, sarebbe una pura follia. Con il rischio che magari oggi si riprenda la strada del nucleare e tra quattro o cinque anni qualcuno arrivi e dice: io sono contrario, torniamo indietro. E intanto scherziamo con cosa? Con i soldi degli italiani. Ancora una volta trasformiamo un momento di crescita in un momento di devastazione.

Questo per dire che cosa? Per dire che c’è bisogno di coinvolgimento sulle scelte fondamentali del Paese. Altro punto: diceva un grande leader - penso fosse De Gasperi, che con la tradizione repubblicana ha avuto tanti momenti di collaborazione - ebbene, De Gasperi diceva: gli uomini politici si dividono in quelli che pensano al futuro del Paese e in quelli che pensano alla futura campagna elettorale. Oggi tutti abbiamo pensato alla futura campagna elettorale, non c’è solo Berlusconi che ci pensa, Berlusconi lo fa in modo un po’ più disinvolto, ma un po’ tutti abbiamo questa malattia, non è che è solo Berlusconi ad averla.

Bene, questa malattia dobbiamo in qualche modo riuscire a guarirla insieme. Se non siamo in grado di fare scelte impopolari, che fanno anche perdere voti alle forze politiche, noi non riusciremo a risolvere i problemi dell’Italia. Perché abolire le Provincie, come abbiamo detto in campagna elettorale, è una cosa pesante. Fa perdere voti, fa perdere consensi. Perché non riescono ad abolire gli enti inutili? Perché fanno i tagli lineari? Perché è più facile fare i tagli lineari, è più difficile dire che lì c’è lo spreco e fare un taglio lì. E difficile fare una selezione, ma dobbiamo fare scelte impopolari.

Dunque, le scelte impopolari, le grandi scelte di sistema. Voi pensate che sia possibile farle nel modo in cui oggi si può pensare di governare questo Paese: con una parte contro l’altra? Io penso di no. Ecco perché , se posso riassumere l’idea in una parola, io dico che questa nuova iniziativa politica deve ricostruire un tessuto di unità, deve pensare al futuro del Paese. Certo, anche in termini di riforme istituzionali ma recuperando i grandi progetti di modernizzazione di questo Paese. Io non credo alle adunate anti-berlusconiane che possono vincere le elezioni ma non riusciranno a governare il Paese. Perché essere uniti contro qualcosa non significa riuscire a governare. E’ facile vincere; ma poi, quando ci troveremo davanti al Marchionne di turno, con i problemi che sono stati sollevati dalla vicenda di Mirafiori, cosa facciamo? Io rispetto tanto Vendola, mi è simpatico; ma lui dà una risposta completamente diversa da quella che dò io. Io tengo presente che oggi i meccanismi del mondo della produzione portano il signor Marchionne, se non investe in Italia, ad andare a investire all’estero. E il tema oggi per i lavoratori è quello di guadagnare di più e lavorare di più. Non è più cercare di difendere le rigidità del mondo del lavoro con i salari che sono i più bassi di tutta Europa. Perché questa è una grande iniquità.

Su questi temi io penso che noi siamo chiamati ad una sfida, che è una sfida comune. Consentitemi una battuta sola sulla politica estera. I giornalisti volevano una battuta su questo e io la dò volentieri. Guardate, la prima cosa da fare in questi giorni in Parlamento è una: bisogna immediatamente abrogare un trattato con la Libia che non si sarebbe mai dovuto firmare. Bisogna, al più presto, che quel trattato di amicizia con la Libia sia revocato dal nostro Parlamento perché è una vergogna. E nello stesso tempo bisogna collaborare col governo, perché oggi, se c’è una emergenza umanitaria, siamo tutti chiamati in causa. Non possiamo pensare che sia solo il governo a doverla affrontare. Sul passato è bene che teniamo i puntini sulle "i": quel trattato è stato una grande sciocchezza. Sul futuro collaboriamo assieme, sui grandi problemi. Proprio se ci sarà un grande processo di immigrazione sulle nostre coste, come quello che si sta profilando. Questa secondo me è una cultura di governo responsabile. Ma non facciamo l’amnistia per il passato.

Un ultima cosa: la giustizia. Vedete, sono vent’anni che parliamo di riforma della giustizia. E’ da vent’anni che non siamo in grado di presentare una riforma della giustizia che, a partire dalla separazione delle funzioni delle carriere, affronti alla radice le questioni di un più corretto rapporto tra il mondo della giustizia e il mondo della politica. Abbiamo perso il treno. Oggi qualsiasi provvedimento che il Parlamento può prendere in materia, verrebbe visto come un provvedimento ad personam per Berlusconi. Questo va detto con grande onestà. Chi ha il dovere di legiferare non può farlo correndo dietro ai suoi processi, lo deve fare nel nome di un disegno politico e istituzionale più ampio. Questo rende il disegno credibile. Anche rispetto alle presunte persecuzioni giudiziarie che eventualmente si possano subire. Ecco perché io penso che serva all’Italia una pagina nuova. Ognuno ci arriverà dalla sua parte. Parliamoci chiaramente: ormai questa legislatura è finita. Va avanti, magari le elezioni non ci saranno, andrà avanti un anno, andrà avanti due, ma per me è già finita. Il problema oggi non è come ci collochiamo in questa legislatura. E’ come vorremo costruire il futuro. Io penso che dalle singole posizioni, anche diverse, in Parlamento, possiamo lavorare assieme per un fine comune.